
La questione del contributo unificato torna al centro del dibattito costituzionale. Con l’ordinanza interlocutoria n. 32234, depositata l’11 dicembre 2025, la Corte di cassazione ha rimesso alla Corte costituzionale l’art. 1, comma 812, della legge di Bilancio 2025 (legge n. 107/2024), ritenendo la norma potenzialmente in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.
La disposizione prevede che, nei procedimenti civili, la causa non possa essere iscritta a ruolo in assenza del previo versamento del contributo unificato. Una previsione che, secondo la Suprema Corte, incide direttamente sul diritto di accesso alla giustizia, introducendo una barriera economica sganciata da qualsiasi finalità di razionalizzazione del servizio giudiziario.
La Terza sezione civile evidenzia come la norma appaia dettata esclusivamente dall’obiettivo di incrementare le entrate, esercitando una forma di “coazione indiretta” nei confronti di chi intenda avvalersi della tutela giurisdizionale. Un’impostazione che, osserva la Corte, finisce per subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale a un interesse di natura fiscale.
Particolarmente problematica è l’applicazione della disposizione anche al giudizio di Cassazione. L’utilizzo del termine “causa”, infatti, consente di estendere l’obbligo di pagamento anche al ricorso per cassazione, con l’effetto paradossale di affidare a un cancelliere – e non a un giudice – la possibilità di impedire l’accesso alla giurisdizione. Una situazione definita inaccettabile, tanto da aver indotto la Prima Presidente della Corte a intervenire con una circolare che impone alla cancelleria, in caso di mancato versamento, la trasmissione degli atti alla sezione competente per le determinazioni giurisdizionali.
Secondo la Cassazione, tuttavia, il problema resta. La norma preclude in radice la possibilità di promuovere un giudizio civile senza il previo pagamento del contributo, senza prevedere alcuna eccezione, neppure per i soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, la disciplina si applica in modo indifferenziato, determinando una disparità di trattamento nel giudizio di legittimità, dove il ricorrente incidentale non è soggetto allo stesso obbligo.
Ulteriore profilo critico riguarda l’importo richiesto, pari a 43 euro, che è identico a prescindere dal valore della controversia. Anche nei casi di cause di elevato valore economico, il versamento minimo è sufficiente a evitare l’improcedibilità, in contrasto con il sistema ordinario del contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ravvisa una possibile violazione dell’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza e la disparità di trattamento introdotte dalla norma, nonché degli articoli 24 e 111 Cost., in quanto l’accesso alla giurisdizione viene sacrificato in nome di esigenze fiscali prive di collegamento con il corretto esercizio della funzione giudiziaria.
Spetterà ora alla Corte costituzionale valutare se l’equilibrio tra diritto di azione e costi del servizio giustizia, tracciato dal legislatore, sia compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento e con la tutela effettiva dei diritti.



